Dopo la faticosa e contorta salvezza dell’anno precedente, la nuova stagione riserva subito il “botto” maggiore: Bettino Piro molla tutto e se ne va! La palla passa in mano a Domenico Russo, ex presidente di Pietra Ligure e Borghetto, che, a naso, non pare essere economicamente in grado di mantenere una formazione in serie D.
Dopo le mille e più profferte ricevute, quindi, Piro decide di lasciare la società a chi più a lui gradito, anche la situazione economica dei biancoblù lascia ben poco ottimisti riguardo al futuro. Al momento del passaggio delle consegne, però, avviene qualcosa di poco chiaro: invece di essere fatto alla luce del sole, l’atto viene consumato in maniera carbonara alle prime luci dell’alba, in modo da lasciare meno tracce possibili. La cosa pare strana, ma la priorità è quella di vedere se la nuova compagine sociale sarà nelle condizioni di mantenere almeno la categoria: al proposito Russo e i suoi collaboratori sprizzano ottimismo da tutti i pori.
L’inizio non è dei peggiori: è chiara l’intenzione di assemblare una squadra con una spina dorsale di esperienza attorno alla quale possano ruotare i giovani. Le scelte, invece, fanno storcere il naso: Russo e i suoi non hanno nessuna esperienza della categoria e cercano di pescare tra i giocatori che conoscono, che però sono almeno di categoria inferiore. In un modo o nell’altro, comunque, viene assemblata una formazione in grado di disputare un campionato dignitoso. Ma i guai sono solo all’inizio.
La dirigenza, come detto, non ha conoscenza della categoria e non riesce ad organizzare amichevoli in grado di testare l’effettiva forza della squadra. Nel contempo arriva la prima batosta: il Bacigalupo è inagibile a causa di qualche mancanza più formale che strutturale; per sbloccare la situazione basterebbe la firma del sindaco, ma a Savona il sindaco non c’è perché dimissionario e il reggente non vuole assumersi responsabilità. Il risultato è che a pochi giorni dall’inizio del campionato il Savona è senza terreno di gioco!
Iniziano febbrili consultazioni con i comuni del circondario per mettere la classica ”pezza” e i biancoblù si trovano a giocare prima a Finale, poi a Vado, poi a Loano senza avere la certezza di quale sarà il campo di casa per la gara successiva: viene trovato un accordo con Loano e per un periodo si giocherà nella cittadina rivierasca. La squadra non può non risentire di tutta questa incertezza: gli striscioni non vincono mai, solo pareggi e sconfitte. La situazione comincia a farsi calda, nonostante i proclami di tranquillità il Savona scivola velocemente sul fondo della classifica.
Con l’apertura del mercato di Novembre i nodi vengono al pettine: la società non è in grado di pagare gli stipendi e cominciano i “tagli”. Vengono mandati via giocatori che non saranno più rimpiazzarti, l’allenatore Pusceddu perde il posto a causa dei risultati e sarà sostituito da una “commissione tecnica” formata dal secondo Andrian e dal preparatore atletico Canepa. Nel contempo si scopre anche che Domenica Russo non è il proprietario del Savona: viene così chiarito il “misterioso” passaggio di consegne dell’estate. Il motivo di tanta riservatezza era dovuto al fatto che le parti non volevano che si scoprisse che, in realtà, il vero proprietario della squadra era un marittimo in pensione di Genova Sampierdarena: tale Giovanni Bonacina Gianazzi.
La notizia fa il giro della città in un attimo: Russo si presenta allo stadio scortato dalla Polizia e cerca un colloquio chiarificatore che ben presto degenera.
La tensione è alle stelle ma l’apice si raggiunge a Dicembre: nell’intervallo della partita tra Savona e Solbiatese Russo sputa addosso a un tifoso, provocando un finimondo facilmente immaginabile. La squadra reagisce alle tensioni esterne andando a perdere lo scontro diretto con il Vigevano per 5-1 e buttando via una vittoria già scritta (sarebbe stata la prima del campionato) contro l’Alessandria.
Attorno alla società girano persone di ogni risma: la figura più enigmatica di tutte è quella di Gianni Innocenti. Imprenditore fiorentino nel campo del turismo si presenta a Savona proclamando ai quattro venti di voler rilanciare la società, porta un allenatore dall’ottimo passato come giocatore (Marco Rossinelli) e anche un paio di rinforzi. Tutto sembra a posto: Russo è impossibilitato a restare sulla piazza, c’è il compratore e anche la città pare di nuovo disposta ad interessarsi delle sorti del Savona. La trattativa, però, va avanti fra esasperanti tira e molla e alla fine arriva ad un vergognoso e turbolento nulla di fatto.
La vicenda-stadio, nel contempo, continuava a tenere viva l’apprensione: contro il Borgomanero il Savona gioca ad Arenzano e all’arrivo al campo lo sconcerto è grande. Sul terreno ci sono 4 formazioni e due terne arbitrali! Oltre alle due di serie D, Genoa e Sarzanese vorrebbero giocare per la C femminile. Rapida scorsa alle prenotazioni e tutto si chiarisce: prima la D e poi le ragazze. Il Savona evita in extremis la sconfitta a tavolino… 15 giorni dopo la situazione non migliora un granchè: non c’è nessuno che sia disponibile ad ospitare i biancoblù e solo le tardive pressioni del Comune di Savona sui vicini di Vado permettono agli striscioni di avere un campo di gioco fino a fine torneo.
Ad un passo dal baratro e scossa dai continui sbalzi societari, per la prima volta nella stagione la squadra conosce una reazione di orgoglio: a metà Febbraio e dopo la bellezza di 23 partite giocate, il Savona riesce a vincerne una! Succede a Trino Vercellese, sul campo di una società che da lì a poco sarebbe andata in rapido disfacimento. Questo torneo, per la verità, a posteriori avrebbe conquistato la palma di uno dei campionati più irregolari mai disputati dal Savona: oltre agli striscioni, collassarono economicamente anche il Chiari, il Vigevano (che si sarebbe temporaneamente ripreso proprio a Febbraio), la Cossatese e il Trino (queste ultime due l’estate successiva si fusero con società delle vicinanze per evitare di sparire definitivamente).
Tutto ciò giocò a favore del Savona e del suo incredibile sogno.
In condizioni normali gli striscioni avrebbero conosciuto l’onta della retrocessione con tre o quattro mesi di anticipo sul termine della stagione, ma, come abbiamo visto, questo fu tutto tranne che un campionato normale. Pian piano la squadra cominciò a prendere coscienza che non sarebbe stato impossibile evitare gli ultimi due posti che costavano la retrocessione diretta.
La situazione societaria, però, era drammatica: i magri incassi coprivano a malapena le spese di affitto dei campi, i giocatori che venivano da fuori erano alla fame, la dirigenza alla macchia. In una condizione del genere era impossibile andare avanti, la squadra minacciava sciopero e abbandono e l’unico dirigente rimasto, Bonvicini, lanciò un appello: servivano 5.000 Euro per finire la stagione, altrimenti il fallimento era dietro l’angolo e con esso la cancellazione dai quadri federali. Il Savona visse uno dei periodi più angosciosi della sua lunga esistenza.
Per cercare di salvare il salvabile scesero in campo i tifosi: venne organizzata una colletta e la squadra potè andare a Chiari a giocare e vincere contro i ragazzini locali, mantenendo così intatte le speranze di salvezza. La società navigava a vista, raccogliendo le donazioni dei tifosi. Così non si poteva certo andare avanti per molto, infatti il 19 Aprile il tribunale fallimentare sancì la definitiva messa in liquidazione del Savona Calcio Srl. Moriva così la società creata sette anni prima da Benedetto Piro, ma assieme a lei non morì il patrimonio sportivo della città. Sportivi e tifosi si strinsero sempre più compatti attorno alla squadra e questa compì l’impresa di battere il Vigevano nello scontro diretto e lo agganciò sul penultimo gradino della classifica. Sembrava fatta, ma la domenica successiva si assistette alla disfatta di Alessandria: uno 0-5 che parve distruggere tutto quello creato fino a quel momento. Il Vigevano vincendo si riportò tre punti avanti agli striscioni a 90 minuti dal termine del campionato.
La prima domenica di Maggio è quella che pare debba condannare definitivamente gli striscioni all’Eccellenza: servirebbe un vero e proprio miracolo per evitare la retrocessione diretta. Dopo un’ora di gioco non si pensa neanche più a quello: il Savona perde in casa contro l’Orbassano e il Vigevano pareggia a Castelletto Ticino. Non bastasse ancora, il Savona sbaglia un rigore cinque minuti dopo il vantaggio ospite: la rassegnazione è dipinta sul volto di tutti. Gli ultimi 10 minuti, però, regalarono una girandola di emozioni difficilmente dimenticabili: il Savona pareggiò mentre la Castellettese andava in vantaggio con il Vigevano e all’89’ i biancoblù segnarono il gol del 2-1. Era spareggio per non retrocedere!
La sede prescelta fu Giaveno, nella quale gli striscioni si presentarono pieni di acciacchi ma seguiti da un buon numero di tifosi. La partita non fu bella però fu emozionante: i lomellini finirono in 8 ma nonostante ciò riuscirono ad arrivare ai calci di rigore. La stagione si decise quindi dal dischetto e lì i savonesi si dimostrarono assai più precisi degli avversari: quattro realizzazioni contro l’unica dei vigevanesi che si videro così condannati alla retrocessione diretta.
Il primo importantissimo paletto era stato piantato: l’essere arrivati ai playout potrà garantire il ripescaggio in caso di defezioni dalla serie D.
Il secondo turno degli spareggi-retrocessione vide i biancoblù impegnati contro quella Castellettese che aveva condannato il Vigevano. I ticinesi non fecero sconti: gli striscioni andarono fuori nonostante la vittoria casalinga e due prestazioni tutte cuore e abnegazione.
Ma l’impegno più importante era stato assolto: il titolo sportivo era stato salvaguardato e la nuova società che si sarebbe aggiudicata l’asta fallimentare non avrebbe dovuto ricominciare dalla Terza Categoria ma da un probabilissimo ripescaggio in serie D.